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TIPOLOGIA: Film

TEMA: Disabilità intellettiva

TITOLO: “Non ci resta che vincere”

DURATA: 124 min

REGIA: Javier Fesser

CAST: Javier Gutiérrez, Athenea Mata, Juan Margallo, José de Luna, Sergio Olmo, Luisa Gavasa, Roberto Chinchilla, Daniel Freire…

GENERE: Drammatico, commedia, sportivo

CLASSIFICAZIONE: 🟢 *

TRAMA

Un allenatore professionista di pallacanestro, dopo essere stato arrestato per aver tamponato una pattuglia dei carabinieri in seguito a qualche bicchierino di troppo, è costretto a un periodo di lavori socialmente utili per evitare la detenzione: si troverà così ad allenare una squadra composta da persone con disabilità intellettiva, che gli faranno riscoprire i veri valori della vita e dello sport nonostante la sua iniziale indisposizione…

COMMENTO PERSONALE **

“Non ci resta che vincere” è ispirato alla storia della squadra di basket “Aderes Burjassot” composta da persone con disabilità intellettiva, vincitrice di dodici campionati in Spagna tra il 1999 e il 2014. Il personaggio di Román (interpretato da Roberto Chinchilla) è infatti Ramón Torres Soto, capitano della squadra nazionale spagnola che partecipò al torneo di pallacanestro DI alle Paralimpiadi di Sydney 2000.

Si tratta di un film che mi ha convinto dai primi minuti, a partire da quando Marco tira fuori tutto il suo “politicamente Scorretto” davanti alla giudice (prima) e a tavola con la madre (dopo), per poi ritrovarsi per la prima volta davanti alla squadra composta da atleti disabili (interpretati da attori con disabilità, e questo è sempre un plus sul fronte integrazione!) cercando di conoscerli senza alcuna voglia o entusiasmo, per comprendere quali siano le loro abilità con la palla da basket, ma in realtà deve subito rapportarsi con le difficoltà relazionali e comunicative di ognuno di loro (a partire da quelle di Sergio e Jesús).

L’iniziale mancanza di empatia del protagonista me lo ha reso subito simpatico grazie al contrasto con le scenette tragicomiche, goffe e genuine che riguardano l’intera squadra, i cui membri sono ben definiti, con caratteri precise e “specificità” proprie che ce li fanno immediatamente restare impressi nella memoria: questo è già un primo aspetto importantissimo per ricordare quanto ogni persona con disabilità sia unica, esattamente come tutte le altre persone, e per questo non deve essere trattata banalmente come un soggetto appartenente a una categoria precisa, né etichettata in modo freddo, senza guardare oltre.

In questo, “Non ci resta che vincere” mostra bene molti luoghi comuni e pregiudizi riguardanti la disabilità, la maggior parte dei quali, inizialmente, appartengono a Marco, ma che possiamo ritrovare anche all’interno della società, ad esempio (SPOILER, vai al paragrafo successivo se non vuoi leggerlo) durante l’esilarante momento del primo viaggio in autobus: l’autista appare incuriosito dal gruppo ma anche un pizzico a disagio, così come una madre cerca di distrarre il figlio dall’osservare le persone con disabilità intorno (scelta decisamente più “comoda” rispetto al dare spiegazioni intelligenti). Ecco che qui, nel caos generale, si leva una frase specifica pronunciata da Marco che mi ha fatto drizzare le orecchie, ovvero “Non parlare così al «ragazzo»” riferendosi a un membro della squadra: stiamo parlando di persone adulte che vengono definite ancora “ragazze” e “ragazzi”, tipica infantilizzazione (errore dannosissimo) che le persone con disabilità subiscono ogni giorno dalla società, e in questo caso, con estrema non-chalance, viene ben ricordato come. Per fortuna c’è la simpatica Collantes (interpretata da Gloria Ramos) a pretendere in continuazione da chiunque che le sia dato del “Lei” e non del “Tu”, non a torto.

Il finale rappresenta infine un degno epilogo per la crescita del protagonista, rendendosi conto di quanto abbia imparato da quella esperienza e di come sia riuscito a vincere non solo alcune paure (una su tutte, che non vi anticipo, risolta in modo divertente grazie all’irruenza del gruppo!) e preoccupazioni per il futuro, senza però risultare eccessivamente melenso o pietistico nonostante qualcuna o qualcuno potrebbe quasi commuoversi.

“Non ci resta che vincere” è un film che schiaccia a canestro se vogliamo parlare di inclusione vera, quella che non fa sconti a nessuno e che alla fine non nasconde le diversità, ma semplicemente le valorizza al punto da appiattire ogni differenza.

PS: se vi è piaciuto questo film, vi segnalo anche “Crazy for football: matti per il calcio”, già recensito qui, che lo ricorda molto sia per la storia, in parte, sia per il modo positivo in cui i protagonisti vengono trattati. 

  • PRO: Divertente e un pizzico dissacrante, per fare inclusione senza troppi sconti.
  • CONTRO: Incipit un po’ troppo lungo e noioso prima che il film inizi davvero a divertire, ma se non si molla ai primi 10 minuti si verrà ripagati.

* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.

** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.