Caro Antonio Tajani, ho 29 anni e non voglio figli. Sì, lo so che può sembrare presto per una scelta così importante: d’altra parte «mai» e «sempre» sono parole che non mi appartengono perché solo gli stolti non cambiano idea. Ma in questo momento, adesso che le sto scrivendo, proprio oggi, sono certo di quello che dico. E ora le spiego perché, sostenendo che «La donna si realizza pienamente solo con la maternità», lei ha offeso tutti quanti. Ma andiamo con ordine.
Mi chiamo Iacopo Melio, lavoro come «racconta storie» e Consigliere regionale per la Toscana, sono dipendente dalla maionese, non so cucinare, dormo su un fianco, amo De André, leggo spesso prima di addormentarmi, uno dei miei colori preferiti è il rosso e non voglio avere figli. Così, un dettaglio in mezzo ad altri, né più né meno importante degli altri. Eppure, ogni volta che mi capita di parlarne, il pensiero dall’altra parte è quasi sempre lo stesso: «Ah, perché sei disabile e credi di non poter essere un padre efficiente?», «Oh, perché la tua malattia genetica non ti permette di diventare papà?».
Puntualmente, dopo una mia prima istantanea correzione («Si dice “babbo”, maremma impestata! Non padre o papà!»), mi ritrovo a dover giustificare una scelta sacrosanta, parte di quell’autodeterminazione che non sempre viene garantita a chi vorrebbe solo scegliere come impostare la propria vita. E sa perché? Perché tocca sentire ancora, dietro agli indici puntati, frasi come la sua: «Una famiglia senza figli non esiste». Assurdo nel 2021, vero? Ma torniamo a noi.
Se ho deciso di non avere figli è perché prima di tutto sono un disadattato. Lo dico col sorriso ma in fondo è la verità: so badare poco o niente a me stesso, figuriamoci a un pargolo. E no, non c’entra il mio stare comodo in carrozzina e nemmeno ne faccio una questione di movimenti ridotti e limitati del mio corpo non proprio di Adone. Sono semplicemente uno che si dimentica di prendere una banale pasticca all’orario stabilito, non sa mai come vestirsi in base al meteo, per prendere un appuntamento medico ci impiega un’ora a trovare il numero giusto, il senso dell’orientamento lo ha perso per strada… e potrei continuare ancora, ma cercherò di salvare la dignità rimanente.
A questo proposito, sono quasi certo che lei mi direbbe che potrei chiedere aiuto a qualcuno, come i genitori, i suoceri o una babysitter. Ma a parte il fatto che non tutti se lo possono permettere, se sono soli o non hanno un buono stipendio (tipo il suo di europarlamentare di Forza Italia, ad esempio), ho deciso di non avere figli perché penso che ognuno si possa e debba realizzare come meglio crede: avanzando nella carriera lavorativa, coltivando nuovi hobby, girando il mondo durante le vacanze, godendosi le amicizie di sempre, facendo volontariato nel proprio quartiere o partendo come missionari in Africa. Qualunque strada, non importa quale, purché renda appagati senza fare male a qualcuno.
Io, ad esempio, vorrei continuare a raccontare le storie degli altri, infilarmi nei loro panni e sentimenti, fabbricare emozioni da mettere in circolo attraverso le parole. Voglio ascoltare i sogni della gente, così come i problemi più duri e gli sgambetti più dispettosi, per cercare di trovare soluzioni o quantomeno risposte, alternative, speranze. La mia professione sarà sempre la stella polare, il mio impegno centrale, un chiodo fisso al quale appendere cadute e ripartenze. E se questo è una colpa, caro Antonio Tajani, sarò fiero di esser processato. Ma almeno avrò dato un senso a ciò che so fare meglio (che non vuol dire che lo sappia fare bene, ma che è il massimo che so dare come contributo in questa terra).
Oltre alle priorità che ognuno si prefissa, c’è poi una concezione di coppia, di amore romantico, nella quale mi sono sempre crogiolato. Ecco, Tajani, la sua famiglia non credo valga più di quella che vorrei tanto costruire, formata da me e qualcuno che mi ami al punto da desiderare un progetto di vita e di futuro in due, creando un «posto esclusivo» dove l’uno è pronto a darsi per l’altro, condividendo giornate, passioni, sentimenti, case-libri-auto-viaggi-fogli di giornale. Insomma, se potessi vorrei passare più ore in giro per un mondo senza barriere architettoniche e culturali, mano nella mano con chi amo, oppure occhi dentro gli occhi seduti al tavolo di un ristorante vista mare, o sul divano di casa sotto una coperta per due a sfondarsi di serie TV e patatine da ungersi i cuori, anziché cambiare pannolini, aiutare a fare i compiti, comprare l’ennesimo paio di scarpe di un numero più grande, contenere bizze e ripicche, stare attento ai pericoli… Tutte cose meravigliose perché piene di vita e di bellezza, ma che al momento non mi appartengono e probabilmente non lo faranno mai.
E ora io lo so che lei e qualcun altro mi vorreste dire che un figlio non è «un impiccio», «un terzo incomodo», «un disturbo», e che potrebbe benissimo essere inserito in qualunque attività di coppia, rendendola più ricca e vivace. Lo so e non lo discuto, per carità. Il punto è che ricercare un figlio in modo forzato è frutto di un egoismo personale che non mi appartiene, perché mancherebbe di rispetto prima di tutto al bambino stesso. Possibile che ancora oggi dobbiamo arrivare ad ammettere che non tutti avvertono l’istinto genitoriale? Che chi non è portato a fare il genitore non è necessariamente una persona peggiore o vuota rispetto a chi, invece, si sente completo con quella specifica forma di amore nella propria esistenza?
Caro Antonio Tajani, non voglio avere figli e per questo, superati i pregiudizi connessi alla disabilità, non sono comunque immune alla sequela di luoghi comuni successivi: «Non capirai mai il vero significato della vita», «Sarai sempre una persona a metà», «Poi invecchierai, sarà troppo tardi e avrai rimpianti», «Così ti perdi il vero amore», «Chi ti starà accanto prima o poi ti lascerà». E anche qui potrei andare avanti, ancora e ancora, ma mi interrompo perché frasi simili non fanno altro che aprire ferite, affondare pesi o più banalmente annoiare: perché siamo stufi di una società che ci indica come «mancanti» in qualcosa per una nostra libera decisione, pacifica e innocua, di certo non giudicante. Siamo stanchi di tutte le considerazioni non richieste, superflue e cattive.
Ecco perché, caro Antonio Tajani, lei ha offeso migliaia di donne, ma anche uomini e famiglie intere che i figli non li hanno per scelta o non li possono avere per costrizione, e che per questo si sentono mutilati dal suo giudizio, figlio di una cultura retrograda. Ma ha offeso anche coloro che i figli li hanno messi al mondo, perché l’ignoranza ferisce tutti, compreso le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi che lei ha ridotto a mero strumento di auto-realizzazione.
Perciò no, non mi troverà mai d’accordo e mai dalla sua parte. E se un giorno cambierò idea scegliendo di diventare babbo («babbo», non padre o papà!), spero almeno di avere imparato abbastanza da esserne in grado, che poi a insegnare bischerate come quella che lei ha partorito è un attimo, bastano due parole, tanto anacronistiche quanto dannose.