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TIPOLOGIA: Serie

TEMA: Autismo

TITOLO: “Avvocata Woo”

DURATA: 16 episodi da 65 min

REGIA: Yoo In-shik

CAST: Park Eun-bin, Kang Tae-oh, Kang Ki-young, Ha Yoon-kyung, Joo Hyun-young, Joo Jong-hyuk, Baek Ji-won…

GENERE: Drama coreano, giudiziario

CLASSIFICAZIONE: 🟡 *

TRAMA

Woo Young-woo è una ragazza nello spettro dell’autismo che si è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti, ad una delle università più prestigiose, dimostrandosi tra le persone migliori del suo corso. La sua dote è emersa già da piccola: fino ai suoi cinque anni, infatti, non ha mai pronunciato alcuna parola, poi un giorno ha iniziato improvvisamente a recitare a memoria alcune parti del codice penale letto in casa, lasciando subito immaginare quale brillante carriera avrebbe avuto da grande.

Woo diventerà infatti l’ultima arrivata in un importante studio legale di Seul, e questo la porterà ad affrontare numerose sfide, non solo dentro il tribunale, combattendo soprattutto contro i pregiudizi nei suoi confronti.

COMMENTO PERSONALE **

Dico subito che questa serie l’ho guardata abbastanza velocemente e con interesse: sedici episodi che scorrono bene, merito dei casi sempre diversi e piuttosto originali, affrontati in modo brillante da Woo e talvolta anche da altri personaggi (che comunque le ruotano attorno). Ed è soddisfacente vedere la scalata della giovane avvocata, non solo a livello professionale ma anche umano, conquistandosi la fiducia dei suoi collaboratori e anche uno spazio sempre maggiore all’interno della società: quella stessa società che, soprattutto all’inizio della serie, le riversa addosso un sacco di pregiudizi (il suo capo che diffida della sua bravura appena saputo della sua diagnosi; le amiche del ragazzo che si innamora di Woo che, quando li trovano insieme, pensano che lui stia facendo volontariato e non che siano amici, e così via…).

Quindi la serie, nel suo complesso, mi è piaciuta? Tutto sommato sì e la consiglierei pure, anche a chi come me non ama vedere qualcosa in lingua originale e trova scomodo/faticoso leggere i sottotitoli in italiano. Come già detto, i casi legali affrontati non sono mai noiosi o banali, si trovano poi tanti spunti interessanti e non manca la caratteristica allegria molto “kawaii” a fare da sottofondo, tipica del mondo orientale. Ma vi prego: essendo il tema dell’autismo fortemente centrale, troviamo il coraggio di dire (anche se va contro la massa che l’ha apprezzata) quanto sia piena di errori, anche importanti, in ambito inclusione. Ma andiamo con ordine…

Per prima cosa, si parla spesso di “persona con disabilità” quando ci si rivolge a Woo, ma ricordiamo che l’autismo è una “neurodivergenza” e che (nonostante i documenti ufficiali e il manuale diagnostico dicano altro, ma d’altronde i tempi cambiano e quindi cambia anche la cultura, e alla base di essa troviamo il linguaggio che si evolve con il crescere della consapevolezza delle persone direttamente coinvolte) non “È”, di per sé, una disabilità, bensì “HA” o “COMPORTA”, in alcuni casi, più o meno disabilità. La differenza è sottile ma molto importante perché rimanda al modello biopsicosociale della disabilità, secondo il quale quest’ultima non sarebbe una caratteristica fissa ma il risultato dell’interazione sfavorevole tra un individuo e il contesto esatto in cui si trova in un preciso momento, evidentemente inaccessibile da un punto di vista architettonico, sensoriale o sociale.

In secondo luogo, non riesco ad essere clemente con la protagonista, che risulta quasi odiosa da quanto viene resa una “macchietta” piena di stereotipi super amplificati sull’autismo, come il suo ripetere alcune frasi, l’evitare interazioni sociali, l’incapacità di esprimere emozioni, l’ossessione per i capi di abbigliamento senza etichette, il fissarsi su dettagli precisi o l’assumere comportamenti evidentemente “strani” (senza fare troppi spoiler, vi dico solo che per riuscire a passare oltre le porte girevoli deve fingere di ballare un valzer per coordinare i passi). Certo, non voglio mancare di rispetto a nessuno, e ricordiamo che si tratta di cose che accomunano molte persone nello spettro, ma per queste (soprattutto quelle ad altissimo funzionamento come Woo, che compiono una vita molto vicina a quella dei neurotipici) raramente sono così enfatizzate, o così presenti tutte insieme. E sebbene si stia parlando pur sempre di fiction, trovo che perdere aderenza dalla realtà sia assolutamente controproducente.

Che poi, si è mai visto un film dove una persona autistica fa l’idraulico o la giornalaia, giusto per dire due lavori a caso? No, e infatti anche stavolta la giovane Woo non poteva che essere un’avvocata con lode, sottolineando la sua incredibile dote mnemonica, fondamentale per risolvere casi in maniera quasi robotica tanto è meccanica, alla quale sono associate le persone autistiche più stereotipate. Una narrazione che rende tutto più semplice, troppo semplice da vedere e da accettare, ma che non è di tutte e di tutti.

In questo senso, si può dire che l’unico personaggio davvero ben fatto, seppur passeggero, è quello del sospettato omicida nell’episodio tre, un ragazzo con una forma di autismo decisamente più grave di quella di Woo, avendo importanti deficit di comunicazione, e per questo (purtroppo) rispecchia molto più da vicino, con i suoi limiti e stereotipie, una fetta maggiore di persone autistiche, al contrario dell’avvocata che è molto più di un’eccezione alla regola.

È pur vero che a rendere tutto questo meno critico ci sono alcuni temi marginali sicuramente credibili, come quello della difficoltà a trovare lavoro e dunque conseguente raccomandazione (avrebbe mai lavorato, Woo, se qualcuno non avesse chiesto la sua “protezione”?), il pietismo e la compassione, in parte il bullismo, così come il tema dell’amore, vissuto con tutte le difficoltà culturali e i pregiudizi del caso, anche familiari. Ecco, questo sì, rende maggiormente realistica la realtà circostante a Woo, peccato che appunto faccia soltanto da sfondo alla storia principale, dove il fulcro di tutto rimane l’autismo della ragazza e le sue avventure, sempre affrontate “a modo suo”, ad esempio evocando balene (delle quali non smette di parlare in modo logorroico con chiunque) che nella sua immaginazione fungono da metafora per arrivare alle soluzioni dei problemi da risolvere.

Insomma, negare il successo mondiale di “Avvocata Woo” sarebbe sciocco, così come sciocco sarebbe non riconoscere la crescente espansione in Occidente di lavori provenienti dalla Corea del Sud: per questo motivo non me la sento di bocciare del tutto questo titolo. L’importante è prendere questa serie per quello che è, ovvero intrattenimento puro, senza alcuna missione divulgativa di tipo tecnico, perché vorrebbe dire sovrastimare notevolmente il suo messaggio (se mai ne voglia avere uno, tra l’altro). Perché no, stare a contatto con l’autismo è tutt’altro che simpatico.

  • PRO: Capace di intrattenere per tutte e sedici le puntate, con casi giudiziari coinvolgenti e interessanti.
  • CONTRO: Il personaggio dell’avvocata Woo, per quanto ben delineato, risulta eccessivamente “fumettistico”, ben distante da ciò che realmente comporta l’autismo nel quotidiano per la maggior parte delle persone nello spettro.

* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.

** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.