TIPOLOGIA: Film
TEMA: Demenza
TITOLO: “The father”
DURATA: 97 min
REGIA: Florian Zeller
CAST: Anthony Hopkins, Olivia Colman, Mark Gatiss, Imogen Poots, Rufus Sewell, Olivia Williams.
GENERE: Drammatico, thriller
CLASSIFICAZIONE: 🟢 *
TRAMA
Anthony ha la demenza e per questo dimentica costantemente gli eventi importanti della sua vita, ma anche dove sono riposte le sue cose. Parlando con la figlia Anne si mostra ostile verso la nuova badante: dice che gli ha rubato l’orologio ed è convinto che non lascerà mai il suo appartamento.
Quando la figlia lo informa che ha intenzione di trasferirsi da Londra a Parigi con il nuovo compagno, Anthony si confonde credendola ancora sposata con James (dal quale però è divorziata da cinque anni). Il giorno dopo, infatti, Anthony vede in casa uno sconosciuto, Paul, e pensa che sia quell’uomo a vivere nel suo appartamento, ma Paul gli ricorda di essere il compagno di Anne e che è invece lui, Anthony, a vivere con loro due.
Anne fissa allora un colloquio con una nuova badante, Laura, a cui l’uomo dirà di non aver bisogno di nessuna assistenza, ricominciando così con dei comportamenti molto ostili che lo porteranno a discutere anche con la figlia e il suo compagno, fino a ritrovarsi in ospedale dove rivede sua figlia Lucy che però è morta anni prima in seguito a un incidente…
COMMENTO PERSONALE **
Un film complesso nella sua estrema semplicità. E con questo non intendo che sia difficile da comprendere, poiché risulta fin troppo chiaro il senso che “The father” vuole trasmettere: credo soltanto che solo chi ha vissuto o stia vivendo a pieno una simile esperienza, con una persona cara colpita da demenza, possa riconoscersi davvero nell’estenuante lentezza, ripetizione e struggimento finale che questa pellicola prova a trasmettere. Incluso il rapporto padre-figlia che fa quasi da colonna portante per tutti i 97 minuti.
Da questo punto di vista ogni mio commento risulterebbe dunque poco autentico, perché mi è impossibile (per fortuna) calarmi in ciò che vive il protagonista, e ancor più i suoi familiari lucidi davanti alla perdita graduale del sé che si sgretola insieme allo spazio e al tempo circostante. E il rischio di banalizzazione della tematica, già troppo spesso sminuita dalla società, è a parer mio alto.
L’atmosfera generale transita continuamente tra sogno e allucinazione, tra ricordi e buio totale, tra la realtà più concreta fino a una punta di horror esistenziale in grado di incutere inquietudine. Anche tra le braccia dell’infermiera che accompagna il finale. E solo per questo, senza scendere in descrizioni superflue, credo che la disabilità di Anthony sia stata rappresentata nel migliore dei modi.
“The father” è dunque un film che può risultare un capolavoro se si pensa a come sia stata rappresentata una condizione tanto difficile quanto, talvolta, non abbastanza compresa; oppure noioso e monotono se si resta (legittimamente) in superficie senza porci domande sull’“oltre”. Ad ogni modo un’opera, quella di Zeller, che merita un’opportunità, anche solo per la grande interpretazione di Anthony Hopkins, con il suo perfetto cambiamento continuo di stati d’animo.
- PRO: Il senso estenuante di ripetizione, di vuoto e lentezza, di “lotta” continua con se stessi e con le persone intorno rappresenta piuttosto bene la condizione della demenza, insieme allo sgretolarsi del tempo e dello spazio.
- CONTRO: La sua semplicità rischia di rendere monotono e poco “approfondito” il tema trattato se non si vuole andare oltre ciò che si vede.
* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.
** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.